Decalogo di una sognatrice per salvare Venezia

ovvero Della differenza tra un cavalluccio marino e un vetro cinese

Che la laguna diventi un parco naturale. Tornino le barene, spugne nidi tane alveari al sentore di salicornia.
Che si vada a remi, in barche di legno, piccole agili belle. Le navi troppo grandi feriscono rintronano affumicano, mangi balli compri e dimentichi che sei piccolo anche tu.
Che tutti, giovani e anziani, vadano a bottega dagli artigiani. Per comprare, ma anche per provare l’ebbrezza dei calli sui polpastrelli, risvegli il corpo e crei oggetti belli.
Che si restaurino e riaprano le case chiuse da anni. Con adeguate agevolazioni fiscali, certo.
Che si controlli chi viene in visita. Per chi si tuffa o fotografa me che pulisco casa: multe estreme, punizioni corporali e obbligo di cantare Nina, ti te ricordi pulendo guano di piccione.
Che si possano trovare nei ristoranti il risotto alla sbirraglia, le spumiglie, i go in brodo, i nervetti in umido e tante altre cose antiche e buone. A prezzi onesti.
Che i campi si riempiano di alberi e panchine. Ah, come ci piace star seduti all’ombra a far due chiacchiere…
Che si puliscano i canali e si trovi il giusto posto per le nostre deiezioni. E sotto ogni albero una compostiera, perché no.
Che si possa camminare senza urtarsi. Ehi, tu, se guardi la fontana di cioccolato blocchi il traffico, va’ avanti.
Che tornino i gatti. Sono certo più affettuosi e puliti dei ratti.