E dello stupore, del respiro che si mozza e del corpo che trasalisce, del tempo che scorre distorto veloce e sospeso, e del silenzio – senza tosse, senza carte di caramelle – condiviso in sala.

Ieri sera ho visto Pupo di zucchero di Emma Dante. Uno spettacolo denso, internazionale, ricco, essenziale. Poesia di voci e di corpi, di luci e di scenografie. Gli attori e le attrici hanno cantato, danzato e riprodotto atmosfere da nouveau cirque, ma lo hanno fatto con eleganza e – non saprei come altro dirlo – generosità.

Una persona dietro di me, dopo pochi minuti, ha detto che non capiva niente. Il protagonista si esprimeva in napoletano del ‘600: non è un linguaggio che spiega, quello di Basile, ma che titilla e seduce. E così anche la donna francese e l’innamorato spagnolo non erano tipi da commedia dell’arte, ma condensati di passioni mobili e intense.

Era da tanto che non vedevo uno spettacolo così bello, così equilibrato, così umano. Per Natale non voglio altri regali, Emma Dante ha fatto la magia.